Questione adriatica

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Mappa del mare Adriatico

Con questione adriatica si indica la contesa per il dominio delle terre che si affacciano sul mare Adriatico orientale da Monfalcone fino alle Bocche di Cattaro e che corrispondono alle regioni storiche della Venezia Giulia, dell'Istria, del Quarnaro e della Dalmazia. Tali terre, a partire dalla Primavera dei Popoli del 1848, furono contese tra popolazioni slave e italiane. Questa lotta s'inserisce all'interno di un fenomeno più ampio, che fu legato all'affermarsi degli stati nazionali in territori etnicamente misti.

La composizione etnica della Venezia Giulia, del Quarnaro e della Dalmazia

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L'Impero carolingio nel 791

Con la caduta dell'Impero romano d'Occidente (476 d.C.) le popolazioni romanizzate dell'Istria e della Dalmazia rimasero in balìa di alcune tribù bellicose, principalmente Avari e Slavi. I primi insediamenti di popolazioni slave, giunte a seguito degli Avari, risalgono al IX secolo (sia in Istria che in Dalmazia)[1].

Alla fine del VIII secolo l'Istria interna e i dintorni, furono conquistate infatti da Carlo Magno: poiché tali terre erano scarsamente popolate, in quanto impervie, i Franchi e successivamente le autorità del Sacro Romano Impero vi consentirono l'insediamento degli slavi. Ulteriori insediamenti di slavi si verificarono in epoche successive; per quanto riguarda l'Istria, ad esempio, in seguito alle pestilenze del XV e XVI secolo.

Le comunità ladine che popolavano l'area di Postumia, Idria e dell'alto Isonzo sono scomparse dal Rinascimento, assimilate dalle popolazioni slave. Del resto intorno all'anno 1000 tutta la valle dell'Isonzo, fino alle sue sorgenti nelle Alpi Giulie, era popolata in maggioranza da popoli ladini.

L'Italia nel 1796

La Repubblica di Venezia, tra il IX e il XVIII secolo, estese il suo dominio (suddiviso in due "dipendenze": i Domini di Terraferma e lo Stato da Mar) soprattutto sulle cittadine costiere dell'Istria, nelle isole del Quarnaro e sulle coste della Dalmazia, che erano abitate da popolazioni romanizzate fin dai tempi più antichi.

Fino al XIX secolo gli abitanti di queste terre non conoscevano l'identificazione nazionale, visto che si definivano genericamente "istriani" e "dalmati", di cultura "romanza" oppure "slava", senza il benché minimo accenno a concetti patriottici oppure nazionalistici, che erano sconosciuti[2].

Vi era una differenza di carattere linguistico-culturale tra città e costa (prevalentemente romanzo-italiche) e le campagne dell'entroterra (in parte slave o slavizzate). Le classi dominanti (aristocrazia e borghesia) erano dovunque di lingua e cultura italiana, anche qualora di origine slava. Nella Venezia Giulia, oltre che l'italiano, si parla anche la lingua veneta, la lingua friulana, la lingua istriota e la lingua istrorumena, mentre in Dalmazia era comune la lingua dalmatica, che si estinse nel 1898, con la morte dell'ultimo parlatore, Tuone Udaina.

Gli opposti nazionalismi

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Lo stesso argomento in dettaglio: Germanizzazione, Croatizzazione e Dalmati italiani.

Fino all'Ottocento, in Venezia Giulia, nel Quarnaro e in Dalmazia, le popolazioni di lingua romanza e slava convissero pacificamente. Con la Primavera dei popoli del 1848-49, anche nell'Adriatico orientale, il sentimento di appartenenza nazionale cessò di essere una prerogativa delle classi elevate e cominciò, gradualmente, a estendersi alla masse[3][4]. Fu solo a partire da tale anno che il termine "italiano" (ad esempio) cessò, anche in queste terre, di essere una mera espressione di appartenenza geografica o culturale e cominciò ad implicare l'appartenenza a una "nazione" italiana[5]. Analogo processo subirono le altre entità culturali e si vennero pertanto a definire i moderni gruppi nazionali: italiani, sloveni, croati e serbi.

Tra il 1848 e il 1918, in particolar modo dopo la nascita del Regno d'Italia e la perdita del Veneto a seguito della Terza guerra d'Indipendenza (1866), l'Impero Austroungarico favorì l'affermarsi dell'etnia slovena[6] e croata, per contrastare l'irredentismo (vero o presunto) e la buona organizzazione delle comunità urbane[7] della popolazione italiana, ritenuta inoltre meno leale e affidabile.[6][8] Nel corso della riunione del consiglio dei ministri del 12 novembre 1866 l'imperatore Francesco Giuseppe delineò compiutamente in tal senso un piano di ampio respiro:

Mappa della Croazia del 2011 indicante i residenti di madrelingua italiana per città e comuni, registrati al censimento ufficiale croato
(DE)

«Seine Majestät sprach den bestimmten Befehl aus, daß auf die entschiedenste Art dem Einfluß des in einigen Kronländern noch vorhandenen italienischen Elements entgegengetreten und durch geeignete Besetzung der Stellen von politischen, Gerichts-Beamten, Lehrern, sowie durch den Einfluß der Presse, in Südtirol, Dalmatien, dem Küstenland, auf die Germanisierung oder Slawisierung der betroffenen Landestheile je nach Umständen mit allen Energien und ohne alle Rücksicht hingearbeitet werde. Seine Majestät legt es allen Zentralstellen als strenge Pflicht auf, in diesem Sinne planmäßig vorzugehen.»

(IT)

«Sua Maestà ha espresso il preciso ordine che si agisca in modo deciso contro l'influenza degli elementi italiani ancora presenti in alcune regioni della Corona e, occupando opportunamente i posti degli impiegati pubblici, giudiziari, dei maestri come pure con l’influenza della stampa, si operi nel Tirolo del Sud, in Dalmazia e sul Litorale per la germanizzazione e la slavizzazione di detti territori a seconda delle circostanze, con energia e senza riguardo alcuno. Sua maestà richiama gli uffici centrali al forte dovere di procedere in questo modo a quanto stabilito.»

In conseguenza della politica del Partito del Popolo, che conquistò gradualmente il potere, in Dalmazia si verificò una costante diminuzione della popolazione italiana, in un contesto di repressione che assunse anche tratti violenti[11]. Nel 1845 i censimenti austriaci (peraltro approssimativi) registravano quasi il 20% di Italiani in Dalmazia, mentre nel 1910 erano ridotti a circa il 2,7%. Tutto ciò spinse sempre più gli autonomisti a identificare se stessi come italiani, fino ad approdare all'irredentismo.

La politica di collaborazione con i serbi locali, inaugurata dallo zaratino Ghiglianovich e dal raguseo Giovanni Avoscani, permise poi agli italiani la conquista dell'amministrazione comunale di Ragusa nel 1899.

L'irredentismo italiano in Istria e Dalmazia

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Mappa linguistica austriaca del 1896, su cui sono riportati i confini (segnati con pallini blu) della Dalmazia veneziana nel 1797. In arancione sono evidenziate le zone dove la lingua madre più diffusa era l'italiano, mentre in verde quelle dove erano più diffuse le lingue slave

L'irredentismo italiano in Istria fu un movimento esistente tra gli istriani di etnia italiana che nell'Ottocento e Novecento promuoveva l'unione dell'Istria al Regno d'Italia[12]. Nella prima metà dell'Ottocento l'Istria era infatti parte dei territori austroungarici, ed il nascente nazionalismo italiano iniziò a manifestarsi, specialmente a Capodistria:

Nel 1861, in occasione della proclamazione del Regno d'Italia, e nel 1866, dopo la terza guerra d'indipendenza, l'Istria non fu annessa all'Italia per svariate ragioni, a causa delle quali molti istriani si organizzarono al fine di ottenere questa unione, abbracciando l'irredentismo italiano. Del resto gli irredentisti volevano l'annessione dell'Istria all'Italia perché la ritenevano terra irredenta in quanto culturalmente parte del retaggio identitario italiano e geograficamente inclusa nei confini naturali dell'Italia fisica[13]. A dimostrazione di questo legame con l'Italia, si può citare il più noto fra gli irredentisti istriani, Nazario Sauro, che fu tenente di vascello nella Regia Marina italiana durante il primo conflitto mondiale e che venne giustiziato per tradimento dall'Austria-Ungheria. Un altro esempio noto, è il capodistriano generale Vittorio Italico Zupelli, già distintosi nella Guerra italo-turca (1911-1912), a cui fu addirittura affidato il Ministero della guerra italiano durante la prima guerra mondiale.

Manifestazione irredentista a Fiume (11 novembre 1918), all'epoca non ancora facente parte del Regno d'Italia. Fiume passò all'Italia nel 1924, per poi essere ceduta alla Jugoslavia nel 1947

Analogo movimento fu l'irredentismo italiano in Dalmazia. I primi avvenimenti che coinvolsero i dalmati italiani nel Risorgimento furono i moti rivoluzionari del 1848, durante i quali essi presero parte alla costituzione della Repubblica di San Marco a Venezia. Gli esponenti dalmati più famosi che intervennero furono Niccolò Tommaseo e Federico Seismit-Doda[14].

Dopo tale fase storica in Dalmazia nacquero due movimenti a carattere nazionalista, quello italiano e quello slavo. Il movimento italiano trovò come guida Antonio Bajamonti[14], che dal 1860 al 1880 fu podestà di Spalato per il partito autonomista filoitaliano che rappresentava la maggioranza italiana nella città.

Le istanze politiche dei dalmati italiani erano promosse dal Partito Autonomista, fondato nel 1878 e scioltosi nel 1919: membro di spicco ne fu proprio Antonio Bajamonti. Il partito, che originariamente ebbe il favore anche di parte della popolazione slava, sostituì progressivamente ad un programma autonomista per la regione un progetto irredentista per la stessa, considerati l'ostilità dell'autorità austriaca e i dissidi con l'elemento slavo. Il 26 aprile 1909, con provvedimenti legislativi entrati in vigore il 1º gennaio 1912, la lingua italiana perse il proprio status di lingua ufficiale della regione in favore del solo croato (precedentemente entrambe le lingue erano riconosciute): l'italiano non poté più essere usato a livello pubblico e amministrativo, sicché i dalmati italiani furono estromessi dalle amministrazioni comunali[14].

Allo scoppio della prima guerra mondiale molti dalmati italiani si arruolarono nel Regio Esercito per combattere a fianco dell'Italia: tra questi famoso fu Francesco Rismondo; altri, come Natale Krekich e Ercolano Salvi vennero internati in Austria. Tra gli irredenti oltreconfine che si arruolarono nel Regio Esercito, ci fu anche Antonio Bergamas, volontario di Gradisca d'Isonzo, comune friulano annesso al Regno d'Italia solo dopo la guerra, morto in combattimento senza che il suo corpo fosse stato mai ritrovato. Sua madre, Maria Bergamas, a guerra conclusa scelse la salma di un soldato italiano morto nella prima guerra mondiale, la cui identità resta sconosciuta, a cui fu in seguito data solenne sepoltura all'Altare della Patria al Vittoriano[14]. La sua tomba divenne il sacello del Milite Ignoto, che, ancora oggi, rappresenta tutti i caduti e i dispersi in guerra italiani[14].

Grande Guerra e annessione all'Italia

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Lo stesso argomento in dettaglio: Patto di Londra e Vittoria mutilata.
Cartina della Dalmazia e della Venezia Giulia coi confini previsti dal Patto di Londra (linea rossa) e quelli invece effettivamente ottenuti dall'Italia (linea verde). In fucsia sono invece indicati gli antichi domini della Repubblica di Venezia

Nel 1915 l'Italia entrò nella Grande Guerra a fianco della Triplice intesa in base ai termini del Patto di Londra, che le assicuravano il possesso dell'intera Venezia Giulia, di parte del Quarnaro e della Dalmazia settentrionale, incluse molte isole. La città di Fiume, invece, veniva espressamente assegnata quale principale sbocco marittimo di un eventuale futuro stato croato o del Regno d'Ungheria, nel caso in cui la Croazia avesse continuato ad essere un banato dello stato magiaro o della Duplice Monarchia[15].

Al termine della guerra, il Regio Esercito occupò militarmente tutta la Venezia Giulia e la Dalmazia, secondo i termini dell'armistizio, inclusi i territori assegnatigli dal trattato di Londra. Ciò provocò le reazioni opposte delle diverse etnie, con gli italiani che acclamarono alla "redenzione" delle loro terre e gli slavi che guardavano con ostilità e preoccupazione i nuovi arrivati. La contrapposizione nazionale subì un nuovo e forte inasprimento.

Gabriele D'Annunzio (al centro con il bastone) durante l'impresa di Fiume

Successivamente, la definizione dei confini fra l'Italia e il nuovo stato jugoslavo fu oggetto di una lunga e aspra contesa diplomatica, che trasformò il contrasto nazionale in una contrapposizione fra Stati sovrani, che coinvolse vasti strati dell'opinione pubblica esasperandone ulteriormente i sentimenti.

Forti tensioni suscitò in particolare la questione di Fiume, che fu rivendicata dall'Italia sulla base dello stesso principio di autodeterminazione che aveva fatto assegnare al regno jugoslavo le terre dalmate, già promesse all'Italia.

La questione dei confini fu infine risolta con i trattati di Saint Germain e di Rapallo. L'Italia ottenne solo parte di ciò che le era stato promesso dal patto segreto di Londra. In base al principio di nazionalità, sostenuto dalla dottrina Wilson, le fu negata la Dalmazia (dove ottenne solo la città di Zara e alcune isole). Per via del mancato rispetto del Patto di Londra, l'epilogo della prima guerra mondiale venne definito "vittoria mutilata".

Col trattato di Rapallo Fiume venne eretta a stato libero, per poi essere annessa all'Italia in seguito al trattato di Roma (1924). In base al trattato di Rapallo 356 000 sudditi dell'Impero austro-ungarico di lingua italiana ottennero la cittadinanza italiana, mentre circa 15 000 di essi rimasero in territori assegnati al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Contemporaneamente si ritrovarono entro i confini del Regno d'Italia 490 000 slavi (di cui circa 170 000 Croati e circa 320 000 Sloveni).

Il biennio rosso e il "fascismo di confine"

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Lo stesso argomento in dettaglio: Biennio rosso in Italia e Storia del fascismo italiano.
I funerali di Gulli e Rossi a Sebenico

Nel biennio 1919-20 l'Europa fu investita da ondate di scioperi e agitazioni di operai che rivendicavano migliori condizioni di lavoro, il cosiddetto biennio rosso. Spesso le fabbriche furono occupate e gestite sul modello dei Soviet, sorti dalla Rivoluzione russa. Contemporaneamente scoppiarono conflitti e scontri di carattere etnico in quei territori soggetti a opposte rivendicazioni nazionali. Nella Carinzia meridionale, ad esempio, vi fu l'eccidio di Marburgo, causato da milizie slovene. Conflitti armati scoppiarono in varie regioni dell'Europa orientale, per la definizione dei confini.

L'Hotel Balkan sede del Narodni Dom dopo l'incendio (1920)

Anche l'Italia fu investita da un'ondata di tensioni sociali, con proteste, scioperi e agitazioni, che coinvolsero anche Trieste e la Venezia Giulia, oltre che la vicina Dalmazia (in gran parte sotto occupazione militare italiana). Tali problematiche si sommarono alle preesistenti tensioni nazionali e al diffondersi dell'idea di "vittoria mutilata" e divennero un fertile terreno per l'affermazione del nascente fascismo, che si proponeva come tutore dell'italianità e del mantenimento dell'ordine nazionale della Venezia Giulia, talvolta con il tacito appoggio delle autorità. I contrasti etnici tra italiani e slavi nell'immediato dopoguerra provocarono, fra gli altri, gli incidenti di Spalato, culminati nell'uccisione (il 12 luglio 1920) di due militari della Regia Marina, il comandante della Regia Nave Puglia Tommaso Gulli e il motorista Aldo Rossi. I fascisti, il giorno dopo la morte dei due militari, organizzarono una manifestazione anti-jugoslava a Trieste.

Altri eventi degni di nota furono l'uccisione di un italiano[16] da parte di un cittadino sloveno e l'incendio, da parte dei fascisti, del Narodni dom ("Casa nazionale slovena") di Trieste. Tale incidente assunse a posteriori un forte significato simbolico, venendo ricordato dagli slavi come l'inizio dell'oppressione italiana.

L'italianizzazione fascista

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Lo stesso argomento in dettaglio: Italianizzazione (fascismo).

La situazione degli slavi peggiorò con la presa del potere da parte del Partito Nazionale Fascista, nel 1922, quando fu gradualmente introdotta in tutta Italia una politica di assimilazione delle minoranze etniche e nazionali:

  • gran parte degli impieghi pubblici furono assegnati agli appartenenti al gruppo etnico italiano, che nell'ultimo periodo di dominazione asburgica ne era stato completamente estromesso a vantaggio degli Slavi e dei Tedeschi;
  • con l'introduzione della Legge n. 2185 del 1º ottobre 1923 (Riforma scolastica Gentile), fu abolito nelle scuole l'insegnamento delle lingue croata e slovena. Nell'arco di cinque anni tutti gli insegnanti croati delle oltre 160 scuole con lingua d'insegnamento croata e tutti gli insegnanti sloveni delle oltre 320 scuole con lingua d'insegnamento slovena furono sostituiti con insegnanti italiani, che imposero agli alunni l'uso esclusivo della lingua italiana[17][18];
    Tratteggiato in rosso, il territorio abitato quasi esclusivamente da sloveni assegnato al Regno d'Italia in base al trattato di Rapallo che fu oggetto di italianizzazione
  • con il Regio Decreto n. 800 del 29 marzo 1923 furono imposti d'ufficio nomi italiani a tutte le centinaia di località dei territori assegnati all'Italia con il Trattato di Rapallo, anche laddove precedentemente prive di denominazione in lingua italiana, in quanto abitate quasi esclusivamente da croati o sloveni[19];
  • in base al Regio Decreto n. 494 del 7 aprile 1926 le autorità italiane italianizzarono i cognomi a decine di migliaia di croati e sloveni[20]. Inoltre, con una legge del 1928 i parroci e gli uffici anagrafici ricevettero il divieto di iscrivere nomi stranieri nei registri delle nascite[21].

Simili politiche di assimilazione forzata erano all'epoca assai comuni in Europa, venendo applicate, fra gli altri, anche da paesi come la Francia[22] o il Regno Unito, oltre che dalla stessa Jugoslavia soprattutto nei confronti delle proprie minoranze italiane, tedesche, ungheresi e albanesi[23]. Si potrebbe inoltre ricordare la situazione degli ungheresi di Transilvania, dei bulgari di Macedonia, o degli ucraini di Polonia.

La politica di "bonifica etnica" avviata dal fascismo fu tuttavia particolarmente pesante, in quanto l'intolleranza nazionale, talora venata di vero e proprio razzismo, venne affiancata e coadiuvata dalle misure repressive tipiche di un regime totalitario[24].

L'azione del governo fascista annullò l'autonomia culturale e linguistica di cui le popolazioni slave avevano goduto durante la dominazione asburgica e esasperò i sentimenti di avversione nei confronti dell'Italia. Le società segrete irredentiste slave, preesistenti allo scoppio della Grande Guerra, si fusero in gruppi più grandi a carattere eversivo, come la Borba e il TIGR, che si resero responsabili di numerosi attacchi a militari, civili e infrastrutture italiane. Alcuni elementi di queste società segrete furono catturati dalla polizia italiana e condannati a morte dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato per le uccisioni di cui si erano resi responsabili (1 terrorista condannato e fucilato a Pola nel 1929, con 4 complici condannati a 25 anni di carcere ciascuno; 4 terroristi condannati e giustiziati a Trieste, con 12 complici condannati a pene detentive per complessivi 147 anni e 6 mesi - cosiddetto "1° processo di Trieste" - nel 1930; 9 terroristi condannati a morte per terrorismo e spionaggio in periodo bellico di cui 5 giustiziati, con 51 complici condannati, complessivamente, a 666 anni e 6 mesi di carcere - cosiddetto "2° processo di Trieste" - nel 1941, a guerra iniziata).

L'invasione della Jugoslavia

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La prima fase delle operazioni militari

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Mappa del Governatorato della Dalmazia, con segnate la provincia di Zara (in verde), la provincia di Spalato (in arancio) e la provincia di Cattaro (in rosso scarlatto)

Nell'aprile del 1941 l'Italia partecipò all'attacco dell'Asse contro la Jugoslavia, la quale, dopo la resa dell'esercito, avvenuta il giorno 17[25], e l'inizio della politica di occupazione, fu smembrata e parte dei suoi territori furono annessi agli stati invasori.

A seguito del trattato di Roma l'Italia annesse parte della Slovenia, parte della Banovina di Croazia nord-occidentale (che venne accorpata alla Provincia di Fiume), parte della Dalmazia e le Bocche di Cattaro (che andarono a costituire il Governatorato di Dalmazia), divenendo militarmente responsabile della zona che comprendeva la fascia costiera, e il relativo entroterra, della ex-Jugoslavia.

In Slovenia fu costituita la Provincia di Lubiana, dove, a fini politici e in contrapposizione con i tedeschi, si progettò, senza successo, di instaurare un'amministrazione rispettosa delle peculiarità locali[26]. Nella Provincia di Fiume e nel Governatorato di Dalmazia fu invece instaurata fin dall'inizio una politica di italianizzazione forzata, che incontrò una decisa resistenza da parte della popolazione a maggioranza croata.

La Croazia fu dichiarata indipendente con il nome di Stato Indipendente di Croazia, il cui governo fu affidato al partito ultranazionalista degli ustascia, con a capo Ante Pavelić.

Divisione della Jugoslavia dopo la sua invasione da parte delle Potenze dell'Asse.

     Aree assegnate all'Italia: l'area costituente la provincia di Lubiana, l'area accorpata alla provincia di Fiume e le aree costituenti il Governatorato di Dalmazia

     Stato Indipendente di Croazia

     Area occupate dalla Germania nazista

     Aree occupate dal Regno d'Ungheria

Repressione, conflitti etnici e crimini contro i civili

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Vista del campo di concentramento di Arbe usato per l'internamento della popolazione civile slovena
Monumento alle vittime dell'eccidio di Podhum.[27]

La resa dell'esercito jugoslavo non fermò i combattimenti ed in tutto il paese crebbe un'intensa attività di resistenza che proseguì fino al termine della guerra e che vide da un lato la contrapposizione tra eserciti invasori e collaborazionisti e dall'altro la lotta fra le diverse fazioni etniche e politiche.

Durante tutta la durata del conflitto vennero perpetrate da tutte le parti in causa numerosi crimini di guerra[28].

Nella provincia di Lubiana, fallito il tentativo di instaurare un regime di occupazione morbido, emerse presto un movimento resistenziale: la conseguente repressione italiana fu dura ed in molti casi furono commessi crimini di guerra con devastazioni di villaggi e rappresaglie contro la popolazione civile. Le sanguinose rappresaglie attuate dal Regio Esercito italiano, per reprimere le azioni di guerriglia partigiana aumentarono il risentimento della popolazione slava nei confronti degli italiani.

«Si procede ad arresti, ad incendi [. . .] fucilazioni in massa fatte a casaccio e incendi dei paesi fatti per il solo gusto di distruggere [. . .] La frase »gli italiani sono diventati peggiori dei tedeschi«, che si sente mormorare dappertutto, compendia i sentimenti degli sloveni verso di noi»

A scopo repressivo, numerosi civili sloveni furono deportati nei campi di concentramento di Arbe e di Gonars[30].

Nei territori annessi, accorpati alla provincia di Fiume ed al Governatorato della Dalmazia, fu avviata una politica di italianizzazione forzata del territorio e della popolazione. In tutto il Quarnero e la Dalmazia, sia italiana che croata, si innescò dalla fine del 1941 una crudele guerriglia, contrastata da una repressione che raggiunse livelli di massacro dopo l'estate 1942.

«. . . Si informano le popolazioni dei territori annessi che con provvedimento odierno sono stati internati i componenti delle suddette famiglie, sono state rase al suolo le loro case, confiscati i beni e fucilati 20 componenti di dette famiglie estratti a sorte, per rappresaglia contro gli atti criminali da parte dei ribelli che turbano le laboriose popolazioni di questi territori . . .»

Nello Stato Indipendente di Croazia, il regime ustascia scatenò una feroce pulizia etnica nei confronti dei serbi, nonché di zingari ed ebrei, simboleggiata dall'istituzione del campo di concentramento di Jasenovac, e contro il regime e gli occupanti presero le armi i partigiani di Tito, plurietnici e comunisti, ed i cetnici, nazionalisti monarchici a prevalenza serba.[31], i quali perpetrarono a loro volta crimini contro la popolazione civile croata che appoggiava il regime ustascia e si combatterono reciprocamente. A causa dell'annessione della Dalmazia costiera al Regno d'Italia, cominciarono inoltre a crescere le tensioni tra il regime ustascia e le forze d'occupazione italiane; venne perciò a formarsi, a partire dal 1942, un'alleanza tattica tra le forze italiane ed i vari gruppi cetnici: gli italiani incorporarono i cetnici nella Milizia volontaria anticomunista (MVAC) per combattere la resistenza titoista.

Dopo la guerra la Jugoslavia chiese di giudicare i presunti responsabili di questi massacri (come il generale Mario Roatta), ma l'Italia negò la loro estradizione grazie ad alcune amnistie[32]

Gli eccidi delle foibe

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Lo stesso argomento in dettaglio: Massacri delle foibe.
La foiba di Pisino, in Istria, che fece parte dell'Italia dal 1920 al 1947
Recupero di resti umani dalla foiba di Vines, località Faraguni, presso Albona d'Istria negli ultimi mesi del 1943
Autunno 1943: recupero di una salma in una foiba, gli uomini indossano maschere antigas per i miasmi dell'aria attorno alla foiba

Durante la seconda guerra mondiale, tra il 1943 e il 1945, i partigiani jugoslavi e l'OZNA si resero responsabili dei massacri delle foibe, ovvero degli eccidi ai danni della popolazione italiana della Venezia Giulia e della Dalmazia[33][34]. Il nome deriva dai grandi inghiottitoi carsici dove furono gettati molte delle vittime, vive o morte, che nella Venezia Giulia sono chiamati "foibe".

Per estensione i termini "foibe" e il neologismo "infoibare" sono diventati sinonimi di uccisioni che in realtà furono in massima parte perpetrate in modo diverso: la maggioranza delle vittime morì nei campi di prigionia jugoslavi o durante la deportazione verso di essi[35][36]. Il numero di vittime in Venezia Giulia, nel Quarnaro e nella Dalmazia è difficile da calcolare e le stime variano da 1 000 a 20 000 persone, anche se più probabilmente il totale si aggira attorno alle 6-7 000 persone, per le sole foibe, e fino a 11 000 considerando anche i campi di concentramento[37][38][39].

Gli eccidi delle foibe e il successivo esodo costituiscono l'epilogo di una secolare lotta per il predominio sull'Adriatico orientale, che fu conteso da popolazioni italiane e slave. Tale lotta si inserisce all'interno di un fenomeno più ampio (un caso analogo è quello dell'espulsione dei tedeschi dopo la seconda guerra mondiale) che fu legato all'affermarsi degli stati nazionali in territori etnicamente misti e dove, secondo alcuni storici, l'identità e l'etnia degli individui e delle popolazioni erano più processi costruiti politicamente che dati immutabili e naturali[40][41].

Alcuni storici hanno voluto vedere in questi atti, quasi tutti verificatisi nell'Istria meridionale (oggi croata), una sorta di jacquerie, quindi di rivolta spontanea delle popolazioni rurali, in parte slave, come vendetta per i torti subiti durante il periodo fascista; altri, invece, hanno interpretato il fenomeno come un inizio di pulizia etnica[42] nei confronti della popolazione italiana.

In ogni caso queste azioni furono un preludio all'azione svolta in seguito dall'armata jugoslava. Alcuni storici (come il francese Michel Roux) asserirono che vi era una similitudine tra il comportamento contro gli italiani nella Venezia Giulia ed a Zara e quello promosso da Vaso Čubrilović (che divenne ministro di Tito dopo il 1945) contro gli albanesi della Jugoslavia[43].

«Con la fine della guerra a questi si aggiunsero gli appartenenti alle unità fasciste che avevano operato agli ordini dei nazisti, soprattutto ufficiali, e il personale politico fascista che aveva collaborato con i nazisti... La borghesia italiana se ne andò... in quanto la trasformazione socialista della società presupponeva la sua espropriazione... numerosi anche coloro che erano arrivati in Istria dopo il 1918 al servizio dello Stato italiano e che seguirono questo Stato (ovvero l'impiego) quando dovette abbandonare la regione»

Nonostante la ricerca scientifica abbia, fin dagli anni novanta del XX secolo, sufficientemente chiarito gli avvenimenti[44][45], la conoscenza dei fatti nella pubblica opinione permane distorta e oggetto di confuse polemiche politiche, che ingigantiscono o sminuiscono i fatti a seconda della convenienza ideologica[46][47].

L'esodo giuliano dalmata

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Lo stesso argomento in dettaglio: Esodo giuliano dalmata.
Una giovane esule italiana in fuga trasporta, insieme ai propri effetti personali, una bandiera tricolore

Al massacro delle foibe seguì l'esodo giuliano dalmata, ovvero l'emigrazione forzata della maggioranza dei cittadini di etnia e di lingua italiana in Istria e nel Quarnaro, dove si svuotarono dai propri abitanti interi villaggi e cittadine. Nell'esilio furono coinvolti tutti i territori ceduti dall'Italia alla Jugoslavia con il trattato di Parigi e anche la Dalmazia, dove vivevano i dalmati italiani.

Con la firma del trattato l'esodo s'intensificò ulteriormente. Da Pola, così come da alcuni centri urbani istriani (Capodistria, Parenzo, Orsera, ecc.) partì oltre il 90% della popolazione etnicamente italiana, da altri (Buie, Umago e Rovigno) si desumono percentuali inferiori ma sempre molto elevate. Si stima che l'esodo giuliano-dalmata abbia interessato un numero compreso tra i 250 000 e i 350 000 italiani. I massacri delle foibe e l'esodo giuliano-dalmata sono ricordati dal Giorno del ricordo, solennità civile nazionale italiana celebrata il 10 febbraio di ogni anno.

L'ultima fase migratoria ebbe luogo dopo il 1954 allorché il Memorandum di Londra assegnò definitivamente la zona A del Territorio Libero di Trieste all'Italia, e la zona B alla Jugoslavia. L'esodo si concluse solamente intorno al 1960. Dal censimento jugoslavo del 1971 in Istria e nel Quarnaro erano rimasti 17 516 italiani su un totale di 432 136 abitanti.

La questione triestina

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Lo stesso argomento in dettaglio: Questione triestina, Corsa per Trieste e Trattato di Osimo.
La folla festante una settimana dopo il ritorno di Trieste all'Italia, 4 novembre 1954

Durante il successivo dopoguerra ci fu una contesa sui territori della Venezia Giulia tra Italia e Jugoslavia chiamata "questione giuliana" o "questione triestina". Trieste era stata occupata dalle truppe del Regno d'Italia il 3 novembre del 1918, al termine della prima guerra mondiale, e poi ufficialmente annessa all'Italia con la ratifica del Trattato di Rapallo del 1920. Al termine della seconda guerra mondiale però, con l'Italia sconfitta, gli jugoslavi di Tito occuparono militarmente la città e i territori circostanti. Tale occupazione avvenne a seguito della cosiddetta "corsa per Trieste", ovvero l'avanzata verso la città giuliana compiuta, per fini di politica postbellica, in maniera concorrenziale nella primavera del 1945 da parte della Quarta armata jugoslava e dell'Ottava armata britannica.

Il 10 febbraio del 1947 fu firmato il trattato di pace tra l'Italia e gli Alleati, che istituì il Territorio Libero di Trieste (TLT), costituito dal litorale triestino e dalla parte nordoccidentale dell'Istria, provvisoriamente diviso da un confine passante a sud della cittadina di Muggia ed amministrato dal Governo Militare Alleato (zona A) e dall'esercito jugoslavo (zona B), in attesa della creazione degli organi costituzionali del nuovo stato.

Nella regione la situazione si fece incandescente e numerosi furono i disordini e le proteste italiane: in occasione della firma del trattato di pace, la maestra Maria Pasquinelli uccise a Pola il generale inglese Robin De Winton, comandante delle truppe britanniche. All'entrata in vigore del trattato (15 settembre 1947) corse addirittura voce che le truppe jugoslave della zona B avrebbero occupato Trieste.[48] Negli anni successivi la diplomazia italiana cercò di ridiscutere gli accordi di Parigi per chiarire le sorti di Trieste, senza successo.

La situazione si chiarì solo il 5 ottobre 1954 quando col Memorandum di Londra la Zona "A" del TLT passò all'amministrazione civile del governo italiano, mentre l'amministrazione del governo militare jugoslavo sulla Zona "B" passò al governo della Repubblica socialista jugoslava. Gli accordi prevedevano inoltre alcune rettifiche territoriali a favore della Jugoslavia fra cui il centro abitato di Albaro Vescovà / Škofije con alcune aree appartenenti al Comune di Muggia (pari a una decina di km²). Il trattato fu un passo molto gradito alla NATO, che valutava particolarmente importante la stabilità internazionale della Jugoslavia.

  1. ^ Boris Gombač, Atlante storico dell'Adriatico orientale, Bandecchi & Vivaldi Editori, Pontedera 2007
  2. ^ "L'Adriatico orientale e la sterile ricerca delle nazionalità delle persone" di Kristijan Knez; La Voce del Popolo (quotidiano di Fiume) del 2/10/2002, su xoomer.alice.it, Consultato il 10 luglio 2009. «... è privo di significato parlare di sloveni, croati e italiani lungo l'Adriatico orientale almeno sino al XIX secolo. Poiché il termine nazionalità è improponibile per un lungo periodo, è più corretto parlare di aree culturali e linguistiche, perciò possiamo parlare di dalmati romanzi, dalmati slavi, di istriani romanzi e slavi.» «Nel lunghissimo periodo che va dall'alto Medioevo sino alla seconda metà del XIX secolo è corretto parlare di zone linguistico-culturali piuttosto che nazionali. Pensiamo soltanto a quella massa di morlacchi e valacchi (...) che sino al periodo su accennato si definivano soltanto dalmati. Sino a questo periodo non esiste affatto la concezione di stato nazionale, e come ha dimostrato lo storico Federico Chabod, nell'età moderna i sudditi erano legati soltanto alla figura del sovrano e se esisteva un patriottismo, questo era rivolto soltanto alla città d'appartenenza.»
  3. ^ Sul conflitto fra italiani e slavi a Trieste si veda: Tullia Catalan, I conflitti nazionali fra italiani e slavi alla fine dell'impero asburgico, scheda in Pupo, Spazzali, pp. 35-39
  4. ^ Sul conflitto nazionale fra italiani e slavi nella regione istriana, si consultino i seguenti link (sito del "Centro Di Documentazione della Cultura Giuliana Istriana Fiumana Dalmata"): Istria Ottocento: Il 1848, su Centro Di Documentazione Della Cultura Giuliana Istriana Fiumana Dalmata. URL consultato il 10 agosto 2020 (archiviato dall'url originale il 17 luglio 2012). Istria Ottocento: L'Irredentismo, su Centro Di Documentazione Della Cultura Giuliana Istriana Fiumana Dalmata. URL consultato il 10 agosto 2020 (archiviato dall'url originale il 18 luglio 2012).
  5. ^ Istria nel tempo, Centro Ricerche Storiche di Rovigno, 2006, cap. V Archiviato il 3 aprile 2016 in Internet Archive., par. 3, 4
  6. ^ a b Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena, Relazioni italo-slovene 1880-1956, "Capitolo 1980-1918" Archiviato il 13 marzo 2018 in Internet Archive., Capodistria, 2000
  7. ^ Pupo, Spazzali, p. 38.
  8. ^ L.Monzali, Italiani di Dalmazia (...), cit. p. 69
  9. ^ Die Protokolle des Österreichischen Ministerrates 1848/1867. V Abteilung: Die Ministerien Rainer und Mensdorff. VI Abteilung: Das Ministerium Belcredi, Wien, Österreichischer Bundesverlag für Unterricht, Wissenschaft und Kunst 1971
  10. ^ (DE) Jürgen Baurmann, Hartmut Gunther e Ulrich Knoop, Homo scribens : Perspektiven der Schriftlichkeitsforschung, Tübingen, 1993, p. 279, ISBN 3484311347.
  11. ^ Raimondo Deranez, Particolari del martirio della Dalmazia, Stab.Tipografico dell'Ordine, Ancona, 1919
  12. ^ Paolo Radivo: Irredentismo italiano in Istria, su fvgnews.net. URL consultato il 17 febbraio 2018 (archiviato dall'url originale il 24 ottobre 2014).
  13. ^ Irredentismo italiano in Istria e Dalmazia, di Lucio Toth Archiviato il 6 aprile 2012 in Internet Archive.
  14. ^ a b c d e Dizionario Enciclopedico Italiano (Vol. III, pag. 729-730), Roma, Ed. Istituto dell'Enciclopedia Italiana, fondata da Giovanni Treccani, 1970
  15. ^ Si vedano la voce Trattato di Londra e il testo integrale del trattato su Wikisource
  16. ^ Attilio Tamaro, Venti anni di storia, Editrice Tiber, Roma, 1953, pp. 79: "Mentre si svolgeva l'imponente comizio e Francesco Giunta, segretario del fascio, parlava, uno slavo uccise un fascista, che s'era intromesso per salvare un ufficiale da quello aggredito
  17. ^ Pavel Strajn, La comunità sommersa – Gli Sloveni in Italia dalla A alla Ž, - Editoriale Stampa Triestina, Trieste 1992
  18. ^ Boris Gombač, Atlante storico dell'Adriatico orientale (op.cit.)
  19. ^ Paolo Parovel, L'identità cancellata, Eugenio Parovel Editore, Trieste 1986
  20. ^ Paolo Parovel, L'identità cancellata, Eugenio Parovel Editore, Trieste 1985
  21. ^ Alojz Zidar, Il popolo sloveno ricorda e accusa (op.cit.)
  22. ^ Fabio Ratto Trabucco, Il regime linguistico e la tutela delle minoranze in Francia Archiviato l'11 febbraio 2009 in Internet Archive., su "Il politico (Rivista italiana di scienze politiche)", Anno 2005, Volume 70)
  23. ^ Sull'assimilazione della minoranza tedesca in Slovenia si veda Harald Heppner (Hrsg.), Slowenen und Deutsche im gemeinsamen Raum: neue Forschungen zu einem komplexen Thema. Tagung der Südostdeutschen Historischen Kommission (Maribor), September 2001, Oldenbourg, München 2002 Archiviato il 16 gennaio 2014 in Internet Archive.. Per la situazione dei tedeschi del Gottschee: Sito sui tedeschi del Gottschee (Slovenia). Per la situazione della minoranza albanese, Robert Elsie, Kosovo: in the heart of the powder keg, Columbia University Press, New York 1997.
  24. ^ Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena; Periodo 1918 - 1941 Archiviato il 1º novembre 2013 in Internet Archive.. Consultato il 1º settembre 2010
  25. ^ L'atto di resa fu firmato a Belgrado alla presenza del Ministro degli esteri Aleksandar Cincar-Marković e del generale Janković in rappresentanza della Jugoslavia, del generale Maximilian von Weichs per la Germania e del colonnello Bonfatti per l'Italia. V. Salmaggi e Pallavisini, La seconda guerra mondiale, Mondadori, 1989, pag. 119.
  26. ^ Regio decreto-legge del 3 maggio 1941, n. 291 (istituzione della Provincia di Lubiana: "ART. 2- Con decreti reali (...) saranno stabiliti gli ordinamenti della provincia di Lubiana, la quale, avendo una popolazione compattamente slovena, avrà un ordinamento autonomo con riguardo alle caratteristiche etniche della popolazione, alla posizione geografica del territorio e alle speciali esigenze locali"
  27. ^ Il 12 luglio 1942 nel villaggio di Podhum, per rappresaglia furono fucilati da reparti militari italiani per ordine del Prefetto della Provincia di Fiume Temistocle Testa tutti gli uomini del villaggio di età compresa tra i 16 ed i 64 anni.
    Sul monumento che oggi sorge nei pressi del villaggio sono indicati i nomi delle 91 vittime dell'eccidio. Il resto della popolazione fu deportata nei campi di internamento italiani e le abitazioni furono incendiate. Si veda Dino Messina Crimini di guerra italiani, il giudice indaga. Le stragi di civili durante l'occupazione dei Balcani. I retroscena dei processi insabbiati (articolo sul Corriere della Sera, del 7 agosto 2008); Alessandra Kersevan, Lager italiani. Pulizia etnica e campi di concentramento per civili jugoslavi 1941-1943, Nutrimenti editore, 2008, p.61; Giacomo Scotti "Quando i soldati italiani fucilarono tutti gli abitanti di Podhum" sul sito Anpi.it (PDF).
  28. ^ Diari di guerra: Il diario di Renzo Pagliani, bersagliere nel battaglione "Zara", su digilander.libero.it. URL consultato il 10 novembre 2009.
  29. ^ Angelo del Boca, Italiani, brava gente?, pagina 236, Vicenza 2005, ISBN 88-545-0013-5
  30. ^ Alessandra Kersevan, Un campo di concentramento fascista. Gonars 1942-1943, Kappa VU, Udine, 2003 e Idem, Breve storia del confine orientale nel Novecento, in Giuseppe Aragno (a cura di), Fascismo e foibe. Ideologia e pratica della violenza nei Balcani, La Città del Sole, Napoli, 2008
  31. ^ L'Italia in guerra e il Governatorato di Dalmazia, su arcipelagoadriatico.it, Centro Di Documentazione Della Cultura Giuliana Istriana Fiumana Dalmata, 2007. URL consultato il 10 novembre 2009 (archiviato dall'url originale il 9 marzo 2012).
  32. ^ Fondo Gasparotto presso Fondazione ISEC (Istituto per la Storia dell'Età Contemporanea, Sesto S.Giovanni, Mi); War Crimes Commission ONU, Crowcass (Central register of war criminals and security sospects) presso Wiener Library, Londra rintracciato dalla storica Caterina Abbati; BBC, Fascist legacy, Londra 1990. (video documentario) di Ken Kirby, curato dallo storico Michael Palumbo; Filippo Focardi e Lutz Klinkhammer (a cura di), La questione dei "criminali di guerra" italiani e una Commissione di inchiesta dimenticata, in Contemporanea, a. IV, n.3, luglio 2001, pp. 497-528; Mimmo Franzinelli, Salvate quei generali! Ad ogni costo e La memoria censurata, in Millenovecento n. 3 gennaio 2003, pp. 112-120: Nicola Tranfaglia, Come nasce la repubblica. Documenti CIA e italiani 1943/1947, Bompiani, Milano 2004. Documenti custoditi nel Fondo Affari Politici del Ministero degli Affari Esteri italiano, in particolare il Telespresso N. 1506 del Ministero degli Affari Esteri, Direzione Generale Affari Politici, VIII, datato Roma, 28 ottobre 1946, indirizzato al Ministero della Guerra, Gabinetto e al Ministero della Giustizia, Gabinetto, Oggetto: Criminali di guerra Italiani richiesti dalla Jugoslavia, firmato da Pietro Nenni, e il Pro Memoria allegato al documento, in cui si legge testualmente: “La Legazione di Jugoslavia ha presentato al Ministero degli Affari Esteri una serie di Note Verbali in data 16,18,27 e 30 dicembre 1947, con le quali, in applicazione all'Art. 45 del Trattato di Pace, richiede la consegni di 27 presunti criminali di guerra italiani, specificando per ciascuno di essi vari capi d'accusa”. Interessante è anche la nota n. 10599.7./15.2 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Gabinetto, datata Roma, 16 febbraio 1948 e firmata dal Sottosegretario di Stato Giulio Andreotti, a cui è acclusa copia conforme della lettera protocollata Segr. Pol. 875, datata Roma, 20 agosto 1949, inviata all'Ammiraglio Franco Zannoni, Capo Gabinetto Ministero della Difesa
  33. ^ Raoul Pupo, Roberto Spazzali, Foibe, Bruno Mondadori, 2003. ISBN 88-424-9015-6, p. 2.
  34. ^ Gianni Oliva, Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria, Mondadori, Milano, 2003, ISBN 88-04-48978-2, pag. 4
  35. ^ Pupo 1996: «È noto infatti che la maggior parte delle vittime non finì i suoi giorni sul fondo delle cavità carsiche, ma incontrò la morte lungo la strada verso la deportazione, ovvero nelle carceri o nei campi di concentramento jugoslavi.»
  36. ^ Pupo, Spazzali, p. 1: «È questo un uso del termine [NdR: "foibe"] consolidatosi ormai, (...), anche in quello [NdR: linguaggio] storiografico, (...) purché si tenga conto del suo significato simbolico e non letterale.»; pag. 3 «solo una parte degli omicidi venne perpetrata sull'orlo di una foiba (...) la maggior parte delle vittime perì nelle carceri, durante le marce di trasferimento o nei campi di prigionia ... nella memoria collettiva "infoibati" sono stati considerati tutti gli uccisi...»
  37. ^ Guido Rumici, Infoibati (1943-1945). I Nomi, I Luoghi, I Testimoni, I Documenti, Mursia, 2002, ISBN 978-88-425-2999-6.: «Lo storico Guido Rumici stima invece il numero delle vittime in minimo 6 000, cifra che salirebbe però a oltre 11 000 se si considerano anche tutti coloro che sono scomparsi nei campi di concentramento jugoslavi.»
  38. ^ Micol Sarfatti, Perché quasi nessuno ricorda le foibe?
  39. ^ Le foibe in breve - foibadibasovizza.it Archiviato l'11 febbraio 2009 in Internet Archive.
  40. ^ Antonio Ferrara, Niccolò Pianciola, L’età delle migrazioni forzate. Esodi e deportazioni in Europa: 1953, Il mulino, Bologna 2012
  41. ^ "Le foibe: i fatti, la costruzione della memoria, la ricerca storica. Strumenti per la didattica" di Antonio Brusa, su historialudens.it, Consultato il 13 gennaio 2018. Secondo Antonio Brusa «Occorre disporre “le foibe” sul tavolo dei fenomeni simili. In questo caso, quelli che caratterizzano l’immediato dopo-guerra, con le vendette, le espulsioni e gli eccidi di massa, a danno sia dei fascisti e dei nazisti, ma soprattutto delle popolazioni civili. A seguito di questo processo drammatico, oltre dieci milioni di civili furono cacciati dalle loro terre. Tedeschi dalla Polonia e dalla Cechia, ungheresi e rumeni dalla Jugoslavia, italiani dall'Istria. Si contarono oltre due milioni di vittime. La contestualizzazione è fondamentale sia per capire il fatto delle foibe, sia per discuterne in classe, evitando gli equivoci del dibattito pubblico, che tende a inserire nella stessa categoria di “massacro”, eccidi storicamente diversi, quali quelli perpetrati dal nazismo durante la guerra e quelli a danno delle popolazioni sconfitte, dopo la guerra. Alcuni storici, di recente, dilatano i tempi, includendo in questi processi di migrazione forzata una cronologia che risale a metà ottocento». «Inoltre, questo argomento richiama con insistenza parole/concetti quali “identità”, “memoria collettiva”, “memoria condivisa”, “etnia”, “confini” e così via. Si faccia attenzione, in questi casi, al fatto che questi termini designano dei processi di costruzione politica: non indicano dati “naturali” o “essenziali” di una popolazione, come spesso si crede. La vicenda delle foibe, in particolare, è anche un momento di costruzione identitaria, sia pure con tempi e modalità diversi, da entrambi i fronti; ed è stata un argomento per tracciare e rendere definitivi dei confini.»
  42. ^ Silvia Ferreto Clementi, La pulizia etnica e il manuale Cubrilovic, su lefoibe.it.
  43. ^ Le Foibe - 1945/2005
  44. ^ Pupo 1996: «...dietro l'apparente caoticità delle situazioni e degli interventi sembra possibile discernere con una certa chiarezza le spinte fondamentali dell'onda di violenza politica che spazza la regione, fino a ricostruire le linee essenziali di una proposta interpretativa generale, che certo andrà vagliata e integrata alla luce dei nuovi apporti documentari, ma i cui connotati di fondo appaiono già delineati in maniera sufficientemente nitida.»
  45. ^ Pupo, Spazzali, p. XI.
  46. ^ Pupo, Spazzali, p. X, 110: «A tutt'oggi, nonostante esse [N.d.R.: le tesi militanti] abbiano dimostrato tutta la loro fragilità sul piano scientifico, continuano a essere largamente diffuse, anche perché si prestano a un uso politico che non è mai venuto meno…»
  47. ^ Raoul Pupo, "Il lungo esodo", BUR, 2005, ISBN 88-17-00949-0, pp. 17-24.
  48. ^ Antonio Ciarrapico, L'impossibile revisione del trattato di pace con l'Italia, in Nuova Storia Contemporanea n°8, Anno XIV, Settembre-ottobre 2010, pag. 125
  • AA.VV., "Istria nel tempo: manuale di storia regionale dell'Istria con riferimenti alla città di Fiume", Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, 2006
  • AA.VV., Rapporti italo-sloveni 1880-1956, Nova revija, Ljubljana 2001 ISBN 961-6352-23-7
  • Luciano Monzali, Italiani di Dalmazia. Dal Risorgimento alla Grande Guerra vol 1. Le Lettere. Firenze, 2004
  • Luciano Monzali, Italiani di Dalmazia. 1914-1924 vol 2. Le Lettere. Firenze, 2007
  • Raoul Pupo, Il lungo esodo. Istria: le persecuzioni, le foibe, l'esilio, Milano, Rizzoli, 2005, ISBN 88-17-00562-2.

Voci correlate

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