La campagna italiana di Russia rappresentò la partecipazione militare del Regno d'Italia all'operazione Barbarossa, lanciata dalla Germania nazista contro l'Unione Sovietica nel 1941. L'impegno di prendere attivamente parte all'offensiva tedesca fu deciso da Benito Mussolini alcuni mesi prima dell'inizio dell'operazione, quando venne a conoscenza delle reali intenzioni di Adolf Hitler, ma fu confermato solo nella mattinata del 22 giugno 1941, non appena il dittatore italiano fu informato che quello stesso giorno le armate tedesche avevano dato il via all'invasione.
Rapidamente divenne operativo un corpo di spedizione, forte di tre divisioni, precedentemente messo in allerta: denominato Corpo di spedizione italiano in Russia (CSIR), arrivò sul fronte orientale a metà luglio 1941. Inizialmente inquadrato nell'11ª Armata tedesca e poi nel Panzergruppe 1, il CSIR partecipò alla campagna fino all'aprile 1942, quando le esigenze del fronte richiesero l'invio di altri due corpi d'armata italiani che assieme allo CSIR furono riuniti nell'8ª Armata o Armata Italiana in Russia (ARMIR). Schierata a sud, nel settore del fiume Don, l'8ª Armata assieme alla 2ª Armata ungherese e alla 3ª Armata rumena avrebbe dovuto coprire il fianco sinistro delle forze tedesche che in quel momento stavano avanzando verso Stalingrado.
I rapidi capovolgimenti al fronte cambiarono il corso della battaglia; dopo l'accerchiamento delle forze tedesche a Stalingrado, la successiva offensiva sovietica iniziata il 16 dicembre 1942 travolse il II e il XXXV Corpo d'armata italiano (ex CSIR), che facevano parte dello schieramento meridionale dell'8ª Armata, e sei divisioni italiane assieme a forze tedesche e rumene furono costrette a una precipitosa ritirata, che anticipò l'odissea che coinvolse il Corpo d'armata alpino nel mese seguente. Il 15 gennaio 1943 una seconda grande offensiva sovietica a nord del Don travolse gli Alpini ancora in linea, i quali, mal equipaggiati e a corto di rifornimenti, iniziarono una tragica ritirata nella steppa, incalzati dalle divisioni sovietiche e costretti a patire enormi sofferenze. La rotta costò alle forze italiane decine di migliaia di perdite e si concluse il 31 gennaio, quando la Divisione "Tridentina" raggiunse i primi avamposti tedeschi a Šebekino. Le operazioni di rimpatrio durarono dal 6 al 15 marzo e si conclusero il 24, ponendo fine alle operazioni militari italiane in Unione Sovietica.
Le prime migrazioni di coreani nell'isola di Sachalin avvennero attorno alla metà degli anni 1860, con un grande incremento a partire dagli anni 1910: l'isola, conosciuta allora come "prefettura di Karafuto", era nella sua parte meridionale sotto il dominio dei giapponesi, che obbligarono numerosi coreani a migrarvi per colmare la crescente richiesta di manodopera nelle miniere di carbone e nei depositi di legname. Successivamente, quando l'Armata Rossa invase Sachalin, una numerosa minoranza dei residenti coreani non ebbe modo di rimpatriare, e coloro che rimasero vissero in esilio per quattro decenni. Con la successiva dissoluzione dell'Unione Sovietica diversi paesi (quali Corea del Nord, Corea del Sud e Giappone) iniziarono a occuparsi del rimpatrio dei coreani di Sachalin.
A causa della diversa lingua e della storia dell'immigrazione, i coreani di Sachalin possono o meno identificarsi come Koryo-saram, altro gruppo etnico di origine coreana, con cui fanno parte della cosiddetta comunità subetnica dei "coreani post-sovietici", della quale rappresentano il gruppo meno popoloso.
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