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Clarence Clemons

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Clarence Clemons nel 2002

Clarence Clemons (1942 – 2011), sassofonista statunitense.

Citazioni su Clarence Clemons

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  • C era dotato di uno humour nero che probabilmente affondava le radici nella sua condizione di uomo di colore grande e grosso cresciuto negli Stati Uniti del Sud. Curiosamente, possedeva anche un ottimismo quasi inguaribile e un'innocenza misteriosa, forse perché era un cocco di mamma come me. Miscelati, questi due elementi sono esplosivi come la dinamite: con il tempo avrebbe imparato a controllarsi, ma all'epoca, se i due stati d'animo si sovrapponevano, rischiavi di finire male, perché fra quei due estremi c'era una folle e incomprensibile terra di nessuno.
  • Clarence era una delle persone più autentiche che avessi mai conosciuto. In lui non c'era traccia di puttanate postmoderne: fatta eccezione per mio padre, vero e proprio personaggio bukowskiano con il culo incollato allo sgabello del bar, un'anima sincera come Clarence Clemons devo ancora incontrarla. Spesso e volentieri, la sua vita era un casino. Era capace di sparare le stronzate più assurde, e ci credeva sul serio, ma sprizzava vita da tutti i pori, e il maestro di cerimonie era lui! Sapeva essere estremamente felice e spaventosamente triste, era una croce e una delizia e mi faceva scompisciare dal ridere, ma sempre sull'orlo della commozione. Attorno a lui orbitavano una serie di personaggi che bisognava vederli per crederci. Aveva un rapporto misterioso e vorace con il sesso, ma era anche un amico incredibilmente affettuoso. Giù dal palco non ci frequentavamo – Clarence era un eccesso continuo, mi avrebbe rovinato la vita – ma i momenti che passavo con lui erano emozionanti e pieni di risate. Ci abbracciavamo spesso, eravamo fisicamente complementari. Il corpo di Clarence era un vasto mondo a parte, un colossale e generoso terremoto di carne.
  • Nel corso degli anni, mentre la nostra musica faceva breccia nell'anima dei fan, gli assoli di Clarence suscitavano quasi sempre applausi fragorosi. Perché? Perché lui non suonava cose difficili, ma faceva qualcosa di difficile e unico: era convinto di quelle note. In uno splendido articolo in sua memoria, Branford Marsalis ha scritto che C possedeva la «forza dell'intenzione musicale».

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