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Stefan Zweig

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Stefan Zweig

Stefan Zweig (1881 – 1942), scrittore, giornalista, drammaturgo e poeta austriaco naturalizzato britannico.

Citazioni di Stefan Zweig

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  • Ancora la nostra generazione a scuola ha appreso più cose su Serse, Dario e Cambise, su re barbarici a noi del tutto indifferenti, che su Leonardo, Volta, Franklin, Montgolfier e Gutenberg. Eravamo tenuti a sapere a memoria ogni minima battaglia, ma nei testi non c'era una riga su chi aveva costruito le prime ferrovie o inventato la chimica moderna. Eravamo intenzionalmente tenuti all'oscuro circa gli apporti culturali dei popoli a noi vicini e sapevamo soltanto in quali battaglie e sotto quali generali li avevamo affrontati sul campo.[1]
  • Dickens narra con tale precisione, con tale minuziosità, da costringerci a seguire il suo sguardo ipnotizzante. Non aveva lo sguardo magico di Balzac [...], ma uno sguardo tutto terreno, uno sguardo da marinaio, da cacciatore, uno sguardo di falco per le piccole cose umane. – Ma sono le piccole cose – disse egli una volta – che formano il senso della vita.[2]
  • Forse nessun uomo ha posto pretese morali tanto alte a se stesso (con sì scarsa capacità di adempiere a un ideale categorico) come Heinrich von Kleist.[3]
  • I più commoventi fra questi individui erano per me – quasi m'avesse già sfiorato il presagio del mio futuro destino – gli uomini senza patria, o ancor peggio, quelli che in luogo di una patria ne avevano due o tre e non sapevano interiormente a quale appartenessero.[4]
  • Se non ci fossero che artisti della specie di Tolstoj si finirebbe facilmente per supporre che l'arte sia qualcosa di estremamente facile…[5]

Erasmo da Rotterdam

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  • Inerme di fronte alla realtà, Erasmo trova la sua vera vitalità esclusivamente nell'attività cerebrale.
    Soltanto per quest'aura spirituale il sembiante di Erasmo acquista significato: ed è perciò incomparabile, indimenticabile il ritratto di Holbein[6], che lo rappresenta nell'istante più sacro, nell'attimo dell'opera creativa, capolavoro fra i suoi capolavori, forse senz'altro la rappresentazione pittorica più perfetta di uno scrittore quando il verbo vissuto si trasforma magicamente in lui nella concretezza visibile dello scritto. Tutti ricordano quel ritratto – chi, infatti, che l'abbia veduto, potrebbe mai dimenticarlo? [...] Per ore ed ore possiamo fissare quel quadro, ascoltare il suo silenzio vibrante, giacché nel simbolo di Erasmo che scrive, Holbein ha eternato la sacra austerità di ogni lavoratore della mente, la invisibile pazienza di ogni vero artista. (da Ritratto, pp. 46-47)
  • È fortuna incomparabile nella vita di un artista che egli possa trovare la forma in cui far coincidere armonicamente la somma delle sue capacità. Questo è riuscito ad Erasmo nel suo Elogio della pazzia, grazie a un'idea brillante e perfettamente attuata; qui ritroviamo in fraterno connubio il dotto enciclopedico, l'acuto critico e l'arguto satirico; in nessun'altra delle sue opere si conosce e si riconosce la maestria di Erasmo come in questa sua celeberrima, l'unica, del resto che abbia resistito al tempo. Egli, con mano lieve, quasi inconsciamente ha colpito al centro, nel cuore del tempo stesso [...] (da Gli anni della maturità, p. 56)
  • Per la prima volta, in grazia di questo libro, intuiamo quanto Erasmo abbia segretamente sofferto della sua razionalità, della sua equità e della sua contenuta temperatezza. Sempre l'artista crea più sicuro là dove darà una forma a ciò di cui egli ha mancanza e nostalgia: così anche in questo caso l'uomo della ragione per eccellenza era il più adatto a poetare l'inno sereno alla follia e a schernire sapientemente gli idolatri della pura sapienza. (da Gli anni della maturità, pp. 62-63)
  • Questa Laus stultitiae, apparentemente scherzosa, fu, sotto la larva carnevalesca, uno dei libri più pericolosi del tempo suo; e quello che oggi si presenta a noi solo come leggiadro fuoco d'artificio, fu in realtà un'esplosione che aprì il cammino alla Riforma tedesca [..] (da Gli anni della maturità, p. 63)
  • [...] nel secolo dell'angusto fanatismo dogmatico questo grande umanista pronunzia la parola mirabile e amplificatrice: «Dovunque tu trovi la verità, considerala cristiana». In tal modo sono gettati i ponti verso tutte le epoche e le terre. [...] Nulla che abbia mai rappresentato un valore notevole dell'etica o dell'ingegno, secondo la concezione erasmica potrà venire separato dal cristianesimo con rigido argine, giacché nell'ambito umano non vi sono verità cristiane o pagane, ma in tutte le sue forme la Verità è divina. (da Gli anni della maturità, p. 67)
  • Il nome di Erasmo al principio del secolo sedicesimo si tramuta da fama letteraria in energia incomparabile; se egli fosse di animo audace, potrebbe valersene come dittatore per una impresa di riforma universale. Ma l'azione non è il suo elemento. Erasmo può chiarire, ma non plasmare, preparare ma non concludere. Non è il suo nome che brillerà in fronte alla Riforma: un altro raccoglierà la messe da lui seminata. (da Gli anni della maturità, p. 71)
  • [...] Zwingli ha fissato mirabilmente il contrasto di carattere fra i due rivali in una immagine, paragonando Lutero ad Aiace, Erasmo a Odisseo. Aiace-Lutero, uomo di coraggio e di guerra, nato alla lotta e che nella lotta soltanto può vivere, Odisseo-Erasmo, capitato per caso sul campo di battaglia, felice appena gli è dato ritornare alla sua pacifica Itaca, all'isola beata della contemplazione, al mondo dello spirito, dove le vittorie o le sconfitte terrene appaiono nulle in confronto alla presenza invincibile ed eterna delle idee platoniche. (da Il grande avversario, p. 103)
  • La storia non avrebbe potuto creare più grandioso simbolo per questo uomo della moderazione: da Lovanio dovette fuggire perché la città era troppo cattolica, da Basilea perché si faceva troppo protestante. Uno spirito libero ed indipendente, che non si lega ad alcun dogma e non vuol decidersi per alcun partito, non ha patria in terra. (da La fine, p. 155)
  • [Il principe di Niccolò Machiavelli] In questo manuale matematicamente limpido di una spregiudicata politica di potenza e di successo, il pensiero antitetico a quello erasmico trova la sua formula precisa, quasi come in un catechismo. (da L'eredità di Erasmo, p. 169)
  • Dopo di lui continua a scrivere la buona novella della bontà intelligente il suo discepolo Montaigne, per il quale l'inhumanité è il peggiore dei vizi, «que je n'ay point le courage de concevoir sans horreur[7]». Spinoza invoca al posto della cieca passione l' amor intellectualis, Diderot, Voltaire, Lessing, scettici ed idealisti ad un tempo, combattono ogni angustia mentale e propugnano la comprensione e la tolleranza. Schiller dà slancio poetico al messaggio dell'internazionalismo, Kant invoca la pace perenne e sempre, sino a Tolstoi, a Gandhi, a Rolland, lo spirito della conciliazione afferma con forza logica il proprio diritto morale accanto a quello della violenza. (da L'eredità di Erasmo, pp. 172-173)
  • [...] soltanto quegli ideali che non si sono logorati o compromessi attuandosi rivivono in ogni generazione come aculeo morale. Ad essi soltanto, non ancora adempiuti, è assicurato l'eterno ritorno. (2015)
  • Soltanto ciò che eleva lo spirito oltre il proprio ambito di vita, sino alla cerchia dell'intera umanità, può dare al singolo la forza di trascendere la propria forza. Solo di fronte alle mète ultrapersonali e forse inattuabili gli individui come i popoli riconoscono la loro vera e sacra misura.

Il candelabro sepolto

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Nel Circo Massimo di Roma stava volgendo al termine la sanguinosa lotta di due giganteschi Eruli contro una muta di cinghiali ircani, quando verso la terza ora del pomeriggio una crescente irrequietezza cominciò a diffondersi tra le migliaia di spettatori. Dapprima soltanto i più vicini s'erano accorti che nella tribuna appartata, riccamente adorna di tappeti e di statue, dove l'imperatore Massimo sedeva in mezzo alla sua corte, era entrato un messaggero coperto di polvere, reduce visibilmente da una affannosa cavalcata; e l'imperatore, appena ascoltato il messaggio, contrariamente all'uso, s'era alzato nel bel mezzo dell'emozionante gioco; con uguale fretta inusitata l'intera corte lo aveva seguito, e presto si vuotarono anche i seggi dei senatori e degli alti dignitari. Una ritirata così precipitosa non poteva non avere un motivo eccezionale. Invano squillanti fanfare annunciarono una nuova lotta, e un leone numidico dalla bruna criniera e il cupo ruggito fu lanciato incontro ai brevi coltelli dei gladiatori — la cupa ondata dell'inquietudine, orlata dalla spuma di volti atterriti e interroganti, s'era alzata irresistibile e si propagava per i ranghi dell'anfiteatro. Gli spettatori balzavano in piedi, s'indicavano l'un l'altro i posti vuoti degli alti dignitari, chiedevano, rumoreggiavano, gridavano e fischiavano; a un tratto, e non si seppe chi per primo l'avesse lanciata, si divulgò la voce confusa che i vandali, i temuti pirati del Mediterraneo, fossero approdati alle foci del Tevere con una flotta potente e fossero già in marcia contro la città ignara.

Citazioni

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  • Il saccheggio è finito, il candelabro è perduto! Rabbi Elieser alzò lo sguardo affaticato. «Hai detto che stanotte lo portano via? Va bene. Allora dobbiamo andare anche noi». Tutti stupirono. Ma il vecchio tornò a dire, fermo e tranquillo: «Dobbiamo andare anche noi. È nostro dovere. Pensate alla Scrittura e ai suoi comandamenti. Quando l'arca va per il mondo anche noi dobbiamo metterci in cammino. Solo quando essa riposa ci è permesso riposare. Se i divini simboli vanno peregrinando, dobbiamo seguirli». (p. 27)
  • Il fanciullo ha formulato la eterna domanda ebraica: perché Iddio tratta proprio noi tanto duramente, fra tutti gli altri popoli, noi che lo abbiamo servito come nessun altro? Perché ci getta sotto i piedi degli altri, affinché ci calpestino, noi che per primi l'abbiamo riconosciuto e celebrato nell'impenetrabilità dell'essere Suo? Perché distrugge quel che edifichiamo, annienta quello che speriamo, perché ci nega la dimora dovunque noi ci arrestiamo, perché aizza un popolo dopo l'altro contro di noi con odio eternamente rinnovato? Perché ci mette così duramente alla prova, noi, sempre noi, che egli aveva eletti e iniziati per primi nei suoi misteri? No, io non voglio mentire a un fanciullo, perché se la sua domanda è bestemmia allora io stesso sono un bestemmiatore in tutti i giorni della mia vita. Ecco, io lo confesso davanti a voi tutti: anch'io, per quanto resista, anch'io contendo senza fine con Dio, anch'io, vecchio di ottant'anni, rivolgo a Dio giorno per giorno la domanda di questo innocente: perché ci precipita Egli così profondamente nella miseria? Perché permette che siamo privati dei nostri diritti, perché aiuta persino i ladri nelle loro rapine? E anche se mi batto mille volte il petto con il pugno, umiliandomi, pure non posso soffocarlo questo grido d'ansiosa domanda. Non sarei un ebreo né un uomo se essa non mi torturasse ogni giorno, e solo nella morte essa s'irrigidirà sulle mie labbra». (pp. 54-55)

Maria Antonietta

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Scrivere la storia della regina Maria Antonietta vuol dire riprendere un processo più che secolare, nel quale accusatori e difensori polemizzano con la maggior asprezza. Il tono appassionato della discussione risale agli accusatori. Per colpire la monarchia la rivoluzione fu costretta ad attaccare la regina, e nella regina la donna. Ma è raro che veridicità e la politica dormano nello stesso letto, e là dove una figura è delineata con fini demagogici non si potrà aspettarsi molta giustizia dai facili servitori dell'opinione pubblica.

Citazioni

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  • Maria Antonietta non fu né la grande santa dell'idea monarchica, né la grande bagascia della rivoluzione, bensì un carattere medio, in fondo una donna comune, non troppo intelligente, non troppo stolta, né fuoco né ghiaccio, senza energie speciali per il bene e senza la minima volontà al male, la donna media di ieri, di oggi e di domani, senza tendenze e genialità eccezionali, senza volontà di eroismi e perciò appunto apparentemente inadatta a divenire oggetto di una tragedia. Ma la storia, questo divino demiurgo, non ha bisogno di una protagonista dal carattere eroico per creare un dramma commovente. La tensione tragica non risulta soltanto dalla statura eccezionale di un personaggio ma sempre dalla sproporzione fra un individuo e il suo destino. […] la tragedia nasce anche quando la natura normale, od anzi piuttosto debole, si incontra con un destino inaudito, con responsabilità personali che la opprimono e schiacciano, e questa forma di tragedia mi sembra talvolta essere la più umana e la più commovente. […] Il carattere mediocre […] non vuole responsabilità storiche universali, al contrario, ne ha terrore, non cerca di patire, ma vi è costretto; dall'esterno, non dall'interno è portato ad essere più grande della sua vera misura. (pp. 13-14)
  • Ma talvolta un simile individuo di medio valore è in grado di frangere le dure zolle del proprio destino, di ergersi violentemente con la propria energia al disopra della sua stessa mediocrità: di ciò la vita di Maria Antonietta è forse il più luminoso esempio storico. Per i primi trent'anni nei trentotto della sua esistenza, questa donna percorre una via insignificante, se pure in una sfera inconsueta; ella non supera mai nel bene o nel male, la misura media: anima tiepida, carattere mediocre e, dal punto di vista storico, da principio, soltanto un personaggio di comparsa. Se la rivoluzione non fosse scoppiata nel suo mondo sereno e spensierato, questa figlia d'Absburgo avrebbe tranquillamente continuato a vivere come cento donne, milioni di donne di tutti i tempi […] Mai nessun uomo avrebbe sentito il desiderio di interrogare la sua anima spenta, nessuno avrebbe saputo chi essa fosse in realtà; non solo, ma – e questo è l'essenziale – ella medesima, Maria Antonietta, regina di Francia, senza le prove della sorte, non avrebbe mai appresa e conosciuta la sua vera grandezza. (pp. 14-15)
  • […] nella suprema sua ora Maria Antonietta raggiunge finalmente tragiche proporzioni e si fa grande al pari del suo destino. (p. 16)
  • Ma com'è lontana ancora la bufera che si addensa all'orizzonte! Come sono ancora remote le complicazioni e derivazioni fatali dell'anima puerile della quindicenne, che si trastulla ignara con col suo goffo compagno, che si illude di salire col cuore in tumulto e gli occhi ridenti d'attesa i gradini d'un trono – e vi trova invece un patibolo! (p. 45)
  • Il destino l'ha posta simbolica Regina di questo secolo, perché con esso viva la sua vita e muoia la sua morte. (p. 95)

Il mondo di ieri

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Se tento di trovare una formula comoda per definire quel tempo che precedette la prima guerra mondiale, il tempo in cui son cresciuto, credo di essere il più conciso possibile dicendo: fu l'età d'oro della sicurezza. Nella nostra monarchia austriaca quasi millenaria tutto pareva duraturo e lo Stato medesimo appariva il garante supremo di tale continuità. I diritti da lui concessi ai cittadini erano garantiti dal parlamento, dalla rappresentanza del popolo liberamente eletta, e ogni dovere aveva i suoi precisi limiti. La nostra moneta, la corona austriaca, circolava in pezzi d'oro e garantiva così la sua stabilità. Ognuno sapeva quanto possedeva o quanto gli era dovuto, quel che era permesso e quel che era proibito: tutto aveva una sua norma, un peso e una misura precisi.

Citazioni

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  • Non si temevano ricadute barbariche come le guerre tra popoli europei, così come non si credeva più alle streghe e ai fantasmi; i nostri padri erano tenacemente compenetrati dalla fede della irresistibile forza conciliatrice della tolleranza. Lealmente credevano che i confini e le divergenze esistenti fra le nazioni o le confessioni religiose avrebbero finito per sciogliersi in un comune senso di umanità, concedendo così a tutti la pace e la sicurezza, i beni supremi. (p. 23)
  • Il senso di massa e di gregge non aveva raggiunto nella vita pubblica la repugnante potenza che ha oggi; la libertà dell'agire privato era considerata – cosa oggi appena concepibile – legittima e sottintesa; la tolleranza non veniva come oggi disprezzata e ritenuta debolezza, ma esaltata quale energia morale. (p. 39)
  • La missione del docente per quell'età non era tanto portarci avanti, quanto tenerci indietro, non plasmarci interiormente, ma inserirci il più docilmente possibile nel sistema dell'ordine, non accrescendo la nostra energia, ma disciplinandola e livellandola. (p. 47)
  • L'istante misterioso del trapasso per cui un verso, una melodia, uscendo dall'invisibile, dalla visione e dall'intuizione di un genio, si fissa graficamente e si realizza in forma terrena, dove lo potremo cogliere, studiare, se non negli abbozzi autografi dei grandi maestri, siamo essi tormentati e corretti o buttati giù come in trance? Io non so abbastanza di un artista, quando ho davanti a me la sua opera definitiva, e faccio mio il detto di Goethe, che, per comprendere sino a fondo le grandi creazioni, non basta averle vedute nella loro perfezione, ma conviene averle spiate nel loro divenire. Anche però dal punto di vista meramente visivo io provo un vero eccitamento fisico guardando un primo schizzo di Beethoven, con i suoi segni impetuosi e impazienti, con la sua pazza confusione di motivi iniziati e respinti, dove la furia creativa della sua indole demoniaca pare compressa in pochi tratti di matita; quella vista mi eccita intellettualmente e sono capace di contemplare affascinato un simile foglio tutto imbrattato di geroglifici, così come altri contemplano il quadro più perfetto. (2014, pp. 141-142)
  • Il miglior centro di cultura per ogni novità rimaneva tuttavia il caffè. Per capire questo, bisogna ricordare che il caffè viennese rappresenta un'istituzione speciale, non paragonabile a nessun'altra al mondo. Esso è in fondo una specie di club democratico, accessibile a tutti in cambio di un'economica tazza di caffè, dove ogni cliente, versando quel modestissimo obolo, ha il diritto di starsene per ore a discutere, a scrivere, a giocare alle carte, ricevendo la posta e divorando soprattutto un illimitato numero di giornali e di riviste. Nei migliori caffè viennesi c'erano tutte le gazzette della città e non queste soltanto, ma quelle della Germania intera, nonché le francesi, le inglesi, le italiane e le americane, ed inoltre tutte le riviste letterarie ed artistiche di qualche importanza, dal Mercure de Pratice alla Neue Rundschau, dallo Studio al Burlington Magazine. (p. 50)
  • Noi confidavamo in Jaurès e nell'internazionale socialista, credevamo che i ferrovieri avrebbero preferito far saltare le rotaie che portare i loro compagni al fronte come bestie al macello, noi contavamo sulle donne, che avrebbero negato i loro figli e i loro sposi al Moloc, eravamo convinti che nel supremo momento si sarebbe manifestata, trionfando, la forza spirituale e morale dell'Europa. Il nostro idealismo comune, il nostro ottimismo determinato dal progresso ci fece misconoscere e disprezzare il comune pericolo. (p. 176)
  • La notte a Zurigo avevo il bisogno di girare ore e ore per le strade o lungo la riva del lago. Le mille luci significavano pace, lì gli uomini godevano ancora la beata calma della vita. Mi pareva di sentire che dietro quelle finestre non vi erano donne insonni, torturate dal pensiero dei figli lontani; non incontravo feriti o mutilati, non giovani in uniforme destinati ad essere caricati per il fronte l'indomani: lì pareva di aver diritto alla vita, mentre nei paesi in guerra quasi si sentiva come un disagio ed una colpa il fatto di non essere mutilati. (p. 227)
  • Sapevamo che a cinque ore di distanza ogni tedesco che sorprendesse un francese, ogni francese che cogliesse un tedesco lo assaliva alla baionetta o lo ammazzava con una bomba a mano, ricevendone in cambio una medaglia al valore; sapevamo che dall'una e dall'altra parte milioni di persone avevano il solo sogno di distruggersi e di cancellarsi dalla superficie terrestre reciprocamente, sapevamo che i giornali avversari parlavano soltanto con la schiuma alla bocca, mentre noi, un pugno d'uomini fra tanti milioni, non soltanto sedevamo pacifici alla stessa tavola, ma ci sentivamo stretti da lealissima, appassionata fraternità. (p. 231)
  • [Frans Masereel] [...] con le sue silografie contro gli orrori della guerra creò dinanzi ai nostri occhi un monumento grafico che per impeto e sdegno regge persino il confronto con i Desastres de la guerra di Goya. Notte e giorno quell'instancabile creava dal legno nuove figure e nuove scene [...]. Noi sognavamo di poter disseminare dall'alto con gli aeroplani queste acerbe e feroci denunce, comprensibili senza parole e senza commenti anche al più umile, di lanciarle invece delle bombe sulle città e sugli eserciti, perché esse avrebbero, ne sono certo, prematuramente ucciso la guerra. (2014, p. 230)
  • Potei invece pochi giorni dopo vedere a Napoli un vero esiliato di particolar natura: Benedetto Croce. Per decenni era stato il capo spirituale della gioventù, aveva poi avuto, come senatore e come ministro, tutti gli onori esteriori del paese, sin che la sua opposizione al fascismo lo mise in conflitto con Mussolini. Rinunciò alle cariche e si trasse in disparte; ma questo non bastò agli intransigenti, che volevano spezzare e, se necessario, anche punire la sua opposizione. Gli studenti, che oggi, in contrasto al passato, sono dovunque le truppe d'avanguardia della reazione, gli assaltarono la casa e gli ruppero i vetri. Ma quell'uomo piccoletto e piuttosto pingue, dagli occhi intelligenti ed arguti, che sembrerebbe a tutta prima un comodo borghese, non si lasciò intimidire. Non lasciò il paese, rimase in casa sua dietro il gran bastione dei suoi libri, benché venisse invitato da università americane e straniere. (p. 291-292)
  • La mia gioia fu sempre il creare, non la cosa creata. Non rimpiango quel che ho posseduto, poiché se noi banditi e perseguitati dovemmo apprendere ancora da capo un'arte in questi tempi ostili ad ogni arte, essa fu quella del sapersi staccare da tutto ciò che era stato un giorno nostro orgoglio e nostro amore. (p. 301)
  • Il nazionalsocialismo, con la sua tecnica di inganno senza scrupoli, si guardò sempre dal proclamare l'intero radicalismo delle sue mete prima di avervi allenato il mondo. Questo era il suo prudente metodo: una dose seguita da una piccola pausa, poi un'altra dose. Una pillola e un momento d'attesa, per vedere se non era troppo forte, se la coscienza mondiale tollerava quel dosaggio. Ma poiché la coscienza europea – a danno e vergogna della nostra civiltà – ostentava con grande zelo la propria indifferenza, sin che quelle violenze avvenivano "oltre confine", le dosi si fecero sempre più forti, e alla fine ne fu rovinata l'Europa intera. (2014, p. 311)
  • Sembra quasi una perfida vendetta della natura contro l'uomo: tutte le conquiste della tecnica, con la quale egli si è impadronito dei suoi più segreti poteri, servono in pari tempo a turbarne l'anima. La tecnica ha gettato su di noi la più tremenda maledizione, impedendoci di sfuggire al presente anche per un momento solo. Le generazioni passate, in epoche di catastrofi, avevano la possibilità di rifugiarsi nella solitudine; a noi fu riservato invece di dovere apprendere e condividere ogni evento nella stessa ora, nello stesso minuto, dovunque esso si verifichi nella sfera terrestre. Per quanto m'allontanassi dall'Europa, il mio destino mi seguiva. (2014, 340)
  • Io avevo troppo studiato e troppo scritto la storia per non sapere che la grande massa è sempre pronta a rotolare verso la parte ove al momento sta il peso del potere; sapevo che le stesse voci che gridavano oggi "Heil Schuschnigg!" avrebbero gridato domani "Heil Hitler!". (p. 340)
  • Ma forse tutti quegli amici di Vienna erano in ultima analisi più saggi di me, perché essi soffersero soltanto quando la sventura veramente accadde, mentre io l'avevo già provata nella fantasia e la rivivevo una seconda volta nella realtà. Comunque io non li capivo più e non riuscivo più a farmi capire. Dopo due giorni avevo rinunciato a mettere in guardia – qualcuno. Perché conturbare gente che non voleva essere turbata? (p. 341)
  • Non dimenticherò mai lo spettacolo che mi si offrì una volta che capitai a Londra in un'agenzia di viaggi: era piena zeppa di profughi, quasi tutti ebrei, e tutti volevano partire. Non importa per qual paese, fossero i geli del Polo Nord o le sabbie ardenti del Sahara, pur di partire, perché il permesso di soggiorno era scaduto e bisognava riprendere il viaggio, procedere con la moglie e i bambini, sotto cieli stranieri, in paesi di linguaggio sconosciuto, tra persone ignote ed ostili. (p. 357-358)
  • Loro sforzo sempre più impaziente, pur di aver pace da ogni persecuzione, pur di trovar sosta nell'eterna fuga, era adattarsi, inserirsi entro i popoli che li circondavano, perdersi nella generalità. Per questo, fusi e confusi com'erano fra gli altri popoli, non si comprendevano più reciprocamente, si sentivano da tempo francesi, tedeschi, inglesi o russi e non ebrei. Ma ora che venivano gettati come lordura sulle strade e scopati poi via tutti insieme: i direttori di banca dai palazzi berlinesi e i servi della sinagoga delle comunità ortodosse, i professori di filosofia parigini e i vetturini di Rumenia, i becchini e gli insigniti di premio Nobel, le grandi cantanti e le prefiche, gli scrittori e i fabbricanti d'acquavite, i ricchi ed i poveri, i grandi ed i piccoli, i credenti e i miscredenti, gli strozzini ed i sapienti, i sionisti e gli assimilati, i seguaci del rito tedesco e quelli del rito spagnuolo, i giusti e gli ingiusti, e dietro di loro tutta la schiera di coloro che credevano di essersi ormai sottratti alla maledizione, i battezzati ed i misti; ora per la prima volta da secoli si imponeva agli ebrei una nuova comunità da essi non più sentita, la comunità dell'espulsione sempre rinnovantesi dai tempi dell'Egitto. (p. 360-361)
  • [...] forse il senso estremo dell'ebraismo sta appunto nel rivolgere di continuo con la sua enigmaticamente imperitura esistenza l'eterna domanda di Giobbe a Dio, affinché essa non vada del tutto dimenticata in terra. (2014, p. 365)

Il sole splendeva forte ed intenso. Tornando a casa osservai d'un tratto davanti a me la mia ombra, così come vedevo proiettata l'ombra dell'altra guerra dietro la guerra presente, e quest'ombra non mi ha più abbandonato da allora, ha sovrastato ogni mio pensiero, notte e giorno e forse il suo cupo profilo si è disegnato anche su molte pagine di questo libro. Ma ogni ombra in fondo è anche figlia della luce e solo chi ha potuto sperimentare tenebra e chiarita, guerra e pace, ascesa e decadenza, può dire di avere veramente vissuto.

La patria comune del cuore

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  • [...] solo gli uomini sono mortali, mai le idee. Esse rappresentano, per così dire, l'anima immortale dell'umanità [...] (da Bertha von Suttner. Discorso tenuto a Berna nel 1917, in piena guerra, all'inaugurazione del Congresso internazionale delle donne per l'intesa tra i popoli, p. 21)
  • L'opinione ce l'hanno molti. La convinzione pochissimi. L'opinione arriva al volo dalla parola, dalla gazzetta, dal desiderio e dalla chiacchiera, riprende il volo al primo soffio di vento, è appiccicata ai fatti e sempre soggetta alla pressione dell'atmosfera, alla psicosi di massa. La convinzione nasce dall'esperienza vissuta, si nutre di cultura, resta personale e inerisce ai fatti.
    L'opinione è massa, la convinzione l'uomo. (da Opportunismo, nemico universale, p. 56)
  • [...] le idee, per realizzarsi, non hanno bisogno di manifestazioni visibili: proprio nell'invisibile serbano le loro forze più pure, e l'esito non gratificante di uno sforzo è la migliore prova per chi si applica con passione. (da Epilogo di uno sforzo vano, (1920), p. 63)
  • [...] l'opinione è impazienza, la convinzione pazienza. (da Appello alla pazienza, (1920), p. 66)
  • [...] facciamo lentamente il buio cammino del nostro mondo, la strada della pazienza. (da Appello alla pazienza, (1920), p. 67)
  • Oggi l'Europa è ancora l'ultimo baluardo dell'individualismo, e forse l'iperteso spasmo dei popoli, il nazionalismo gonfiato, con tutta la sua violenza, è pur sempre una ribellione inconscia, in certo qual modo febbricitante, un ultimo disperato tentativo di difendersi dall'appiattimento. Ma proprio la forma spastica di difesa rivela la nostra debolezza. Già il genio della monotonia è all'opera per cancellare l'Europa, l'ultima Grecia della storia, dalla lavagna epocale. (da La monotonizzazione del mondo, (1925), pp. 72-73)
  • Perciò guardali bene, i senza patria, tu, che sei fortunato, tu, che sai dove trovare la tua casa e la tua patria, tu, che tornando da un viaggio trovi pronta la tua stanza, preparato il tuo letto, e intorno a te i libri che ami e gli oggetti che ti sono familiari. Guardali bene, gli scacciati, tu, che sei fortunato, che sai di che cosa e per chi vivi, così ti rendi conto umilmente di quanto tu sia privilegiato per caso rispetto agli altri. Guardali bene, quelli che stanno lì pigiati al parapetto della nave, e accostati a loro, parla con loro, perché già questo è una consolazione, che tu ti avvicini a loro, e mentre tu gli parli nella loro lingua, bevono inconsciamente una sorsata della patria che hanno lasciato, e i loro occhi si fanno luminosi ed eloquenti. (da La casa dei mille destini. Scritto nel 1937, in occasione dei cinquanta anni di attività dello Shelter di Londra, p. 159)

Momenti eccelsi

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  • Oh, afferrarla e tenerla, innalzarla e farla vibrare, la parola!; distenderla e dispiegarla perché diventi grande come Dio, che l'ha donata! La parola: la cosa mortale e caduca, che attraverso la bellezza e l'infinito fervore torna a mutarsi in eternità! (da La resurrezione di Händel, pp. 33-34)
  • [...] dove la storia modella compiutamente, non occorre la mano dell'uomo che l'assecondi, ma soltanto la sua reverente parola che narri. (da Momenti eccelsi, p. 35)
  • [Emmanuel de Grouchy] Non una specie di cavaliere antico, ardente e trascinatore, come Murat; non uno stratega, come Saint-Cyr e Berthier; non un eroe, come Ney. Non c'è corazza bellica a fregiargli il petto; e nessun mito aleggia intorno alla sua figura; nessun pregio specifico appariscente gli dà diritto a un posto e a una parte di gloria nel mondo eroico della leggenda napoleonica: soltanto la sua disgrazia, soltanto il suo insuccesso gli hanno conferito la celebrità. (da Momenti eccelsi. Attimo mondiale di Waterloo, p. 63)
  • Tutte le virtù borghesi, ottimo presidio nelle esigenze della monotona vita di tutti i giorni: prudenza, obbedienza, zelo, ponderatezza, si dissolvono impotenti nel fuoco del grande momento del destino, che richiede sempre e solo il genio, e lo figura sotto specie eterna. Respinge sprezzante chi tituba; unicamente l'audace solleva con braccia di fuoco – nuovo dio della terra – in alto, nel cielo degli eroi. (da Momenti eccelsi. Attimo mondiale di Waterloo, p. 84)
  • Il ventesimo secolo guarda dall'alto su un mondo senza misteri. Tutte le terre sono esplorate, i più lontani mari solcati in ogni direzione. [...] La parola «terra incognita» delle vecchie carte geografiche e dei mappamondi è stata ricoperta di segni da mani sapienti; l'uomo del ventesimo secolo conosce la sua stella. (da Momenti eccelsi. La lotta per il polo sud, p. 141)
  • La testimonianza più grande dell'eroismo spirituale di quel pugno d'uomini[8] nella grande solitudine è data dal fatto che Wilson, lo scienziato, lì a un palmo dalla morte[9], continua le sue ricerche scientifiche trascinando sulla sua slitta, oltre a tutto il carico necessario, anche sedici chilogrammi di pietre rare. (da Momenti eccelsi. La lotta per il polo sud, p. 163)
  • [...] per un grandioso contrasto, da morte eroica sorge vita accresciuta, da una fine la volontà di elevarsi nell'infinito: poiché solo l'amor proprio s'infiamma per il successo, dovuto al caso e alla facile riuscita; ma non c'è nulla che sollevi lo spirito a tanto mirabili altezze quanto la contemplazione della caduta d'un uomo di fronte all'ineluttabile prevalenza del destino: la più grandiosa tragedia di tutti i tempi, quella che è inscenata dal poeta talora, ma innumerevoli volte dalla vita. (da Momenti eccelsi. La lotta per il polo sud, p. 173)

Novella degli scacchi

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Nella grande nave passeggeri, che a mezzanotte doveva salpare da New York per Buenos Aires, regnava la consueta attività e agitazione dell'ultima ora. Gente del luogo si accalcava per accompagnare gli amici, fattorini del telegrafo col berretto sulle ventitré attraversavano i saloni scandendo nomi ad alta voce, si trascinavano valigie e mazzi di fiori, bambini correvano curiosi su e giù per le scale, mentre l'orchestra suonava imperterrita per il deck-show. Io stavo conversando con un conoscente sul ponte di passeggio, un po' in disparte da questa confusione, quando accanto a noi guizzarono taglienti due o tre lampi al magnesio – a quanto pareva i giornalisti avevano intervistato e fotografato in fretta, poco prima della partenza, qualche personaggio importante. Il mio amico guardò da quella parte e sorrise.

Citazioni

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  • Per quattro mesi non avevo tenuto in mano un libro, e già la sola idea di un libro, in cui si potessero vedere parole allineate, righe, pagine e fogli, di un libro in cui si potessero leggere, seguire, accogliere nel cervello pensieri diversi, nuovi, estranei, capaci di distrarre, aveva qualcosa di inebriante e al tempo stesso di stupefacente.
  • Potevo pensare solo agli scacchi, solo in termini di mosse di scacchi, problemi di scacchi; qualche volta mi svegliavo con la fronte madida e capivo d'aver inconsciamente continuato a giocare anche nel sonno, e quando sognavo esseri umani, me li raffiguravo soltanto nei movimenti dell'Alfiere, della Torre, nell'avanti e indietro della mossa del Cavallo.

Montaigne

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Esistono scrittori, pochi in verità, accessibili a chiunque, ad ogni età e in ogni epoca della vita – Omero, Shakespeare, Goethe, Balzac, Tolstoj – e poi ce ne sono altri che rivelano tutto il loro significato solo in un determinato momento storico. Montaigne è tra questi ultimi.

Citazioni

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  • Conservando e descrivendo se stesso, conservò a sua volta l'uomo in nuce, l'uomo nudo e atemporale. E mentre tutto il resto, i trattati teologici e le digressioni filosofiche del suo secolo ci sembrano estranei e obsoleti, lui è un nostro contemporaneo, l'uomo di oggi e di sempre, e la sua battaglia è la più attuale sulla terra.
  • Cento volte, leggendo Montaigne, pagina dopo pagina, si ha la sensazione che nostra res agitur [l'assunto ci riguarda], la sensazione che in esse sia espresso, meglio e più chiaramente di quanto io possa pensare, quelle che sono le preoccupazioni più profonde della mia anima in questo tempo. Non ho con me un libro, della letteratura o della filosofia, ma un uomo a cui sono fratello, un uomo che mi consiglia, che mi consola e mi mostra amicizia, un uomo che mi capisce e che capisco. Prendo in mano i Saggi e la carta stampata scompare nella penombra della stanza. Qualcuno respira, qualcuno vive con me, un estraneo è entrato a casa mia e già non è un estraneo ma qualcuno che sento amico. Quattrocento anni svaniscono come fumo: non è il seigneur de Montaigne, il gentilhomme de la chambre [gentiluomo della camera] di un dimenticato re di Francia, non il signore del castello di Périgord che mi parla: egli ha tolto la gorgiera bianca plissettata, il cappello a punta e lo spadino, si è tolto la gloriosa catena dell’Ordine di San Michele dal collo. Non è più il sindaco di Bordeaux che mi viene a visitare, non il gentiluomo e non lo scrittore. È arrivato un amico, per consigliarmi e parlarmi di sé.

Incipit di alcune opere

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Amok

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Nel marzo del 1912, nel porto di Napoli, durante le operazioni di scarico di un grande transatlantico, si verificò uno strano incidente sul quale i giornali fornirono informazioni copiose ma ornate di molta fantasia.
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

La donna e il paesaggio

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Accadde in quell'estate torrida, quando le piogge scarse e la siccità ebbero nell'intero paese conseguenze così nefaste per il raccolto che la popolazione ne serbò ancora per anni un pauroso ricordo. Già nei mesi di giugno e di luglio erano caduti sui campi assetati solo pochi e brevi rovesci, ma ora, da quando il calendario segnava agosto, non era scesa nemmeno una goccia, e persino quassù, in quest'alta valle tirolese, dove io, al pari di tanti altri, avevo sperato di trovare refrigerio, l'aria color zafferano ardeva di fuoco e di polvere.

L'agnello del povero

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LE PERSONE
FRANÇOIS FOURÈS, tenente del Settimo Cacciatori – PAOLINA FOURÈS, moglie del tenente Fourès, soprannominata BELLILOTTE – BONAPARTE generale dell'esercito in Egitto – BERTHIER, suo aiutante – DUPUY, comandante la piazza del Cairo – LA SIGNORA DUPUY, sua moglie – DESCHAMPS ufficiale di fureria – FOUCHÈ, ministro di polizia sotto il Consolato – DESCAZES, avvocato a Parigi – Primo, secondo, terzo soldato – Un gendarme.
QUADRO PRIMO
(Cortile interno del palazzo Esbekieh al Cairo. Sullo sfondo la scala che porta al quartier generale dello Stato Maggiore e all'appartamento del generale Bonaparte. Verso il proscenio, accampati in disordine attorno ad una tavola, soldati della compagnia di guardia e l'ufficiale di fureria Deschamps. Crepuscolo, cielo tropicale di un azzurro opalino picchiettato dalla luce delle stelle.)
PRIMO SOLDATO (si è tolto gli stivali e li va scuotendo) – Sabbia, dappertutto la maledetta sabbia! Nella canna del fucile, nelle tasche, nel pane, a letto, sin dentro le budella, dappertutto quella maledizione di un sale giallo. Vorrei sapere come fanno ad ingrassare tanto le pulci in questo paese.
SECONDO SOLDATO – Perché noi poveri sciocchi veniamo a nutrirle del nostro buon sangue francese! Altrimenti resterebbero secche anche loro come le donne di questi fellah. Vorrei vederlo in faccia quella canaglia di ministro al quale è venuta la bella idea di mandarci quaggiù in una terra desolata, gialla come sterco! Lo possa cogliere la peste!
TERZO SOLDATO – Non nominarla invano! Ieri sedici e oggi ventiquattro all'ospedale con le macchioline verdi. E s'ingrossano a tremende bozze, più rapide che al nostro paese le ciliege.

La paura

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Lungo le sponde del lago di Ginevra, nelle vicinanze del villaggio svizzero di Villeneuve, in una notte d'estate del 1918 un pescatore che era uscito al largo in battello vide in mezzo alle acque uno strano oggetto, e avvicinandosi distinse una zattera fatta di travi mal connessi che un uomo nudo, servendosi con poca destrezza di un'asse a guisa di remo, cercava di spingere a riva.[10]

Mendel dei libri

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Di nuovo a Vienna e di ritorno a casa da una visita nei quartieri fuori mano, mi sorprese un rovescio di pioggia che, con sferzate d'acqua, costringeva la gente a rimpiattarsi rapida sotto i portoni e altri ricoveri, e anch'io cercai in fretta un tetto sotto cui ripararmi. Per fortuna a Vienna c'è un caffè in attesa a ogni angolo, e io mi rifugiai in quello proprio lì di fronte, con il cappello già gocciolante e le spalle bagnate fradice. All'interno si rivelò il solito tradizionale caffè di periferia, senza il contorno accattivante di quelle orchestrine alla moda che in centro imitano i locali tedeschi, ma pervaso invece dall'atmosfera familiare della vecchia Vienna e affollato di gente modesta che consumava più giornali che dolciumi. A quell'ora, verso sera, l'aria già di per sé viziata presentava nelle azzurre volute di fumo un fitto disegno marmorizzato, e tuttavia il caffè aveva un aspetto lindo con i suoi divani di velluto palesemente nuovi e con la cassa di alluminio chiaro. Nella fretta non mi ero dato la pena di leggere il suo nome da fuori, ma a che scopo d'altronde? E adesso ero lì seduto al caldo, e guardavo impaziente di là dai vetri inondati d'azzurro e mi domandavo quando quella pioggia molesta avrebbe avuto la compiacenza di spostarsi di qualche chilometro.

Notte fantastica

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Le note che seguono furono ritrovate in un pacco sigillato nel cassetto della scrivania del barone Friedrich Michael von R..., dopo che questi, nell'autunno del 1914, era caduto nella battaglia di Rava Russkaja, cui aveva preso parte come tenente della riserva in un reggimento di dragoni austriaci. Letto il titolo e data una rapida scorsa ai fogli, i familiari pensarono si trattasse soltanto di un lavoro letterario del loro congiunto, sicché mi affidarono queste note perché le esaminassi e si rimisero a me per la loro eventuale presentazione.

Paura

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Quando Irene uscì dall'appartamento del suo amante e cominciò a scendere le scale, tutto d'un tratto quella paura insensata tornò a impadronirsi di lei. All'improvviso una spirale nera prese a mulinarle davanti agli occhi, le gambe erano bloccate da una morsa di ghiaccio, ed ella dovette aggrapparsi in fretta alla ringhiera per non cadere bruscamente in avanti. Non era la prima volta che arrischiava una visita così pericolosa, quel brivido repentino non le era affatto sconosciuto e, pur opponendo in cuor suo una strenua resistenza, nel riprendere la via di casa finiva per soggiacere a simili imperscrutabili attacchi di una paura irragionevole e ridicola.

Note

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  1. Da Tempo e mondo, traduzione Emilio Picco, Piano B, 2014.
  2. Da Tre maestri: Balzac, Dickens, Dostoevskij, traduzione Berta Burgio Abrens, Sperling & Kupfer, Milano, 1938.
  3. Citato in Corriere della Sera, 28 luglio 2001.
  4. Da Il mondo di ieri, cap. Nel cuore dell'Europa.
  5. Citato in Roberto Coaloa (a cura di), Lev Tolstoj e l'Italia, Gli Ori, Pistoia, 2016, p. 29. ISBN 978-88-7336-645-4
  6. Hans Holbein il Giovane; il riferimento è al ritratto Di Erasmo realizzato nel 1523 ed oggi custodito nel Museo del Louvre a Parigi.
  7. Che non ho il coraggio di concepire senza orrore.
  8. I cinque membri della spedizione, guidata da Robert Scott, che tentò di raggiungere il polo sud.
  9. Durante la marcia di ritorno dal polo sud.
  10. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia

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  • Stefan Zweig, Erasmo da Rotterdam, traduzione di Lavinia Mazzucchetti, Fabbri Editori, 2000.
  • Stefan Zweig, Erasmo, traduzione di Lavinia Mazzucchetti, Castelvecchi, 2015.
  • Stefan Zweig, Il mondo di ieri, traduzione di Lavinia Mazzuchetti, Mondadori.
  • Stefan Zweig, Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo, traduzione di Lavinia Mazzuchetti, Mondadori, Milano, 2014. ISBN 978-88-04-38112-9
  • Stefan Zweig, L'agnello del povero, traduzione di Lavinia Mazzuchetti, da IL DRAMMA, Anno 25°, n. 151, 1952.
  • Stefan Zweig, Il candelabro sepolto, traduzione di Anita Rho, Milano, Skira, 2013. ISBN 978-88-572-1536-5
  • Stefan Zweig, La patria comune del cuore, traduzione di Emilio Picco, Frassinelli, 1993.
  • Stefan Zweig, Maria Antonietta. Una vita involontariamente eroica, traduzione di Lavinia Mazzuchetti, Mondadori, 1933.
  • Stefan Zweig, Mendel dei libri; traduzione di Ada Vigliani, Milano, Adelphi, 2008. ISBN 978-88-459-2274-9
  • Stefan Zweig, Momenti eccelsi. Cinque miniature storiche, traduzione di B. Burgio Harens; La Resurrezione di Händel, traduzione di Marcella Gorra. Sperling & Kupfer, Milano, 1975.
  • Stefan Zweig, Novella degli scacchi, traduzione di Simona Martini Vigezzi, Milano, Garzanti, 1982.
  • Stefan Zweig, Paura; traduzione di Ada Vigliani, Milano, Adelphi, 2011. ISBN 978-88-459-2634-1
  • Stefan Zweig, «La donna e il paesaggio». In: Stefan Zweig, Notte fantastica; traduzione di Ada Vigliani, Milano: Adelphi, 2012. ISBN 978-88-459-2723-2
  • Stefan Zweig, Notte fantastica; traduzione di Ada Vigliani, Milano: Adelphi, 2012. ISBN 978-88-459-2723-2
  • Stefan Zweig, Montaigne, traduzione di Ilenia Gradante, Castelvecchi, 2014. ISBN 9788868263096

Altri progetti

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Opere

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